Penso che ogni lettore di questo pianeta sogni di trovarsi fra le mani un capolavoro sconosciuto e non veda l’ora di comunicare la sua scoperta a tutti gli amici, i colleghi e i parenti, al prete e al commercialista, alla moglie e all’amante, alla figlia di 6 mesi e al nonno defunto.
Ora, Claudio Menni non è propriamente un autore sconosciuto. Ha avuto una discreta fortuna letteraria, fatta di 3 romanzi e diverse pubblicazioni di racconti, finiti tra l’altro su GQ e in una raccolta uscita con «Il Corriere della Sera».
Lo è ancor meno per me, dal momento che abita nella vicina Casola Valsenio, patria del più celebre Cristiano Cavina (5 romanzi con Marcos y Marcos). Ma ne avevo sentito parlare in modo un po’ pietistico, come se la pubblicazione del suo ultimo romanzo, Gardo Mongardo (Manni, 2007), fosse stata più un privilegio che un merito.
E fu così che sono passati 4 anni e, se non fosse stato per il RIVOLution Fest e per la sua gentilezza di regalarmelo, forse ne avrei lasciati passare altri 4.
Il problema, però, è che l’ho letto.
Bastano 2 pagine (leggile qui) per capire che è qualcosa di totalmente diverso da tutto ciò che ho letto finora. Una scrittura nuova, un lessico studiato a puntino (ma spontaneo), un ritmo narrativo frenetico, uno stile diverso, che corre, frena, mette la retro e poi riparte in impennata.
I contenuti: sesso, alcol, perversioni, miracoli, fallimenti. Scene esilaranti, altre raggelanti, a volte le due cose insieme. Un libro estremo, ci vuole coraggio per scriverlo e per leggerlo. Volete un paragone? Immaginate Bukowski che scrive La versione di Barney, aggiungete 2 dosi di sesso e una scrittura ancora più snob, ancora più geniale; comprimete il tutto in 190 pagine e avrete Gardo Mongardo.
Finito il libro, sono senza parole. Non so se ho capito il messaggio, non so nemmeno se c’era. Non so a chi consigliarlo (o a chi non consigliarlo), non so perché non abbia venduto 100.000 copie e non sia tradotto in dieci lingue, non so perché sul web ci siano solo un paio di recensioni (ma più belle di questa: di Antonio Celano e di Rossano Astremo). Però so che è uno dei migliori libri di sempre, e se lo legge mia madre, cade priva di sensi a metà di pagina 2.
Quello che resta è la storia di un uomo che solo alla penultima pagina pronuncia il suo nome per intero, un uomo che si lascia vivere e allo stesso tempo accetta e cavalca le realtà che si trova davanti. Un uomo che galleggia, che cerca se stesso, slegato da tutto e da tutti, che non fa difficoltà a legarsi a chiunque. Un eroe e un fallito, un esempio e uno scempio. Forse, semplicemente, Gardo Mongardo.
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