Un romanzo duro, ma nemmeno troppo. Come una bestia feroce è l’esordio letterario di Edward Bunker: un signore che s’è fatto un ventennio di galera prima di affermarsi come romanziere al punto da meritare la prefazione di un certo James Ellroy, re del noir made in USA.
Vorrei cominciare proprio da Ellroy. Ho trovato la sua prefazione alquanto noiosa e di routine, poteva scriverla chiunque (e forse l’ha scritta un signor “chiunque”). Ma la prefazione non è l’unico punto in comune tra Ellroy e Bunker.
Di James Ellroy ho letto il classicone American Tabloid e il seguito, Dieci pezzi da mille. Ineccepibili dal punto di vista narrativo e avvincenti fino all’ultima pagina, sono un vero e proprio spaccato di storia (romanzata) d’America. Come una bestia feroce non è altrettanto incisivo dal punto di vista stilistico e narrativo. Qui si parla di un ladruncolo di Los Angeles, non degli sgherri della mafia, di J. F. Kennedy ed Edgar Hoover, del Vietnam e del KKK, di Cuba e della Guerra Fredda. La partita è persa in partenza.
Invece no. Ellroy ha tutto, tutto per diventare un bestseller e, perché no, un romanzo da tramandare alle generazioni future. Eppure Bunker ha un’arma in più, che per una volta non è un’arma da fuoco: l’umanità. Max Dembo non è una macchina del crimine mitizzabile come Pete Bondurant e Kemper Boyd (i protagonisti di American Tabloid), ma è un uomo. Uno che guarda, pensa, vive; vede il bene, vede il male e sceglie. Si droga, mena, uccide, ma domanda.
Una piccola differenza che solca un abisso.
Come una bestia feroce: La trama
Max Dembo è un detenuto alla vigilia della scarcerazione. Dopo 8 anni di penitenziario, si prepara a vivere l’ennesimo tentativo di reintegro sociale. Le strade di Los Angeles l’aspettano: la porta del crimine è sempre aperta, ma lui vuole mettere la testa a posto. La dura realtà fatta di solitudine e indifferenza, il riaffiorare di un passato incancellabile e un agente di custodia governato da un rigido quanto inefficace senso morale lo costringeranno a tornare latitante.
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