Pubblico qui il testamento spirituale di Enrico Tabanelli, figlio di cari amici che è mancato quest’anno, ad appena 29 anni, per le conseguenze della SLA.
Testamento spirituale di Enrico Tabanelli, 15 maggio 2023
Trovare un significato nella mia esperienza è difficile, soprattutto in questo momento dove la mia condizione sta peggiorando sempre di più. Attualmente ho 29 anni e da due di questi sono affetto da quella spietata malattia neuro degenerativa di nome SLA. Cogliere il senso di questo ultimo tassello di vita è ancor più complicato se penso che tale patologia strappò via la vita di mia mamma Paola nel 2014.
All’epoca capii subito che si trattava di una malattia ereditaria, quindi le paure non tardarono ad arrivare. Che cosa potevo fare? Nulla. Potevo solo scegliere tra logorarmi la vita sprecando il tempo rimanente o vivere. Scelsi la seconda, scelsi di vivere al 100% affinché potessi non avere alcun rimpianto.
Vivere al massimo per me significava avere un obiettivo e perseguirlo costantemente, non lasciarsi andare all’ozio e al divertimento momentaneo. Inoltre, ho imparato che gli obiettivi che uno si pone non sono immutabili. Cercando di perseguirne uno si aprono tante altre strade. L’importante è trovare uno scopo nella vita e cercare di raggiungerlo senza perdersi troppo in distrazioni.
Gli anni passarono ed io riuscì a sublimare tutta la rabbia che avevo dentro per conseguire il mio obiettivo: laurearmi in ingegneria biomedica e poi elettronica. Nessuno mi suggerì quale facoltà studiare, scelsi e mi buttai. Ovviamente non fu tutto una passeggiata, ebbi molti momenti di crisi e debolezza ma ne riuscii sempre a venire fuori.
Iniziando il dottorato era ancor più chiaro quale fosse il mio obiettivo: finire gli studi e trasferirmi all’estero per lavoro (volevo vedere se si stava veramente meglio fuori dall’Italia, mi avevano già mandato una proposta di lavoro dall’Inghilterra). Poi improvvisamente, a maggio 2021, fui sbalzato contro una dura realtà che sconvolse i miei piani. La diagnosi non era ancora certa ma dentro di me sapevo già di cosa si trattasse.
Tutte le mie certezze vennero a meno. Mi accorsi che non ero più padrone di me stesso e che quella percentuale infinitesimale che poteva determinarmi mi stava determinando a tutti gli effetti. Sapevo già cosa significava tutto ciò, mi trovai allora in bilico tra due opzioni: andare avanti cercando di mantenere il più possibile una parvenza di normalità o farla finita. Pensai molto alla seconda, ma la mia vita mi piaceva talmente tanto da non essere in grado di togliermela con le mie stesse mani. Così provai a vivere la mia solita vita facendo finta che tutto fosse normale.
Inizialmente funzionò: facevo una terapia a Modena e intanto continuavo a lavorare. Passata la fase iniziale, iniziai a cedere: la mia condizione peggiorava ma non ero in grado di usare l’opzione “b”, e dentro di me cresceva sempre più un sentimento di impotenza e di rabbia per la mia condizione. Avevo paura per tutto ciò che avevo vissuto, sapevo che tutto sarebbe finito nel nulla.
Un giorno ero a Roma (per questioni di “cuore” frequentavo la capitale), e uscii per fare un giro a piedi. Così entrai a San Pietro per ammirarne le bellezze e ne rimasi stupito. Non era la prima volta che entravo in quella chiesa ma questa volta la luce era diversa. Non mi è apparso nulla, era più come una sensazione: la luce che entrava dall’alto era così potente, che io mi sentii per un attimo abbracciato da qualcosa. È difficile spiegarlo, durò pochi secondi ma era una sensazione bellissima.
Visto l’accanimento mi promisi di chiedere qualcosa sulla fede a qualcuno che ci capisse. Così si presentò don Leo a casa mia e inizialmente non parlò di fede ma di cose quotidiane.
Fui io a chiedergli cos’era e com’era la fede.
Don Leo mi ha introdotto passo dopo passo con passaggi ragionevolissimi e mi ha ampliato lo sguardo sulla vita e ciò mi corrispondeva e l’alleviamento che ho avuto grazie alla fede ha cominciato ha portare luce e pace nella mente e nel cuore.
Mi sentivo un altro e non era autoconvincimento. Ovviamente non fu tutto semplice, molte volte ho maledetto la mia esistenza, ma il pensiero che la mia morte non fosse vana mi ha permesso di arrivare verso il fine della mia vita, ovvero la morte, con tranquillità e oserei dire serenità. La fede mi ha permesso di vivere fino all’ultimo tramite le persone che mi sono sempre state vicine nella felicità e nel dolore: famiglia e amici.
Non è importante quanti anni ci sono nella vita, ma quanta vita c’è negli anni vissuti. Ed io i miei anni li ho vissuti bene terminando con la comprensione del fine ultimo della vita, e me ne vado in pace.

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