Dove vederlo
Un Vangelo senza Resurrezione?

Parlo de Il Vangelo secondo Matteo come di un piccolo miracolo perché nelle intenzioni di Pasolini il film sarebbe dovuto essere privo di miracoli e di Resurrezione. Ne sarebbe uscito un Cristo marxista ante litteram, più vicino al Gesù di Pasolini che al Gesù raccontato dai Vangeli. Tuttavia Pasolini seguì il suggerimento di don Francesco Angelicchio, direttore del Centro Cattolico Cinematografico, e tornò sul set per filmare le scene dei miracoli e della Resurrezione.
Quindi è grazie alla prontezza di don Angelicchio e alla disponibilità di Pasolini che abbiamo il film che tutti conosciamo. Un film tosto, per alcuni potrebbe sembrare “pesante” – termine che preferisco non accostare mai a un prodotto culturale, film o libro che sia – ma dal potentissimo impatto visivo ed emotivo, capace di mettere lo spettatore con le spalle al muro di fronte alle questioni fondamentali della vita e della fede.
Il Vangelo secondo Matteo secondo Pasolini
Riporto di seguito alcune delle più interessanti frasi dette o scritta da Pier Paolo Pasolini sul Vangelo secondo Matteo: sono meglio di qualsiasi recensione possa scrivere.
Per me la bellezza è sempre una “bellezza morale”; ma questa bellezza giunge sempre a noi mediata: attraverso la poesia, o la filosofia, o la pratica; il solo caso di “bellezza morale” non mediata, ma immediata, allo stato puro, io l’ho sperimentato nel Vangelo.
Lettera a Alfredo Bini, giugno 1963

La mia idea è questa: seguire punto per punto il Vangelo secondo San Matteo, senza farne una sceneggiatura o una riduzione. Tradurlo fedelmente in immagini, seguendone senza una omissione o un’aggiunta il racconto. Anche i dialoghi dovrebbero essere rigorosamente quelli di San Matteo, senza nemmeno una frase di spiegazione o di raccordo: perché nessuna immagine o nessuna parola inserita potrà mai essere all’altezza poetica del testo.
È questa altezza poetica che così ansiosamente mi ispira. Ed è un’opera di poesia che voglio fare. Non un’opera religiosa nel senso corrente del termine, né un’opera in qualche modo ideologica.

Per quanto la mia visione del mondo sia religiosa, io non credo alla divinità di Cristo. Esteriormente il mio film può destare le reminiscenze dei cattolici che possono ancora interessarsi alla vita di Cristo. Ma se si va più a fondo, non ho fatto una ricostruzione secondo l’iconografia che la maggior parte dei cristiani se ne fanno. Ho fatto un film dove espongo attraverso un personaggio tutta la mia nostalgia del mitico, dell’epico e del sacro.

Quanto al mio rapporto «artistico» col Vangelo, esso è abbastanza curioso: tu forse sai che, come scrittore nato idealmente dalla Resistenza, come marxista ecc., per tutti gli anni Cinquanta il mio lavoro ideologico è stato verso la razionalità, in polemica coll’irrazionalismo della letteratura decadente (su cui mi ero fermato e che tanto amavo). L’idea di fare un film sul Vangelo, e la sua intuizione tecnica, è invece, devo confessarlo, frutto di una furiosa ondata irrazionalistica. Voglio fare pura opera di poesia, rischiando magari i pericoli dell’esteticità (Bach e in parte Mozart, come commento musicale: Piero della Francesca e in parte Duccio per l’ispirazione figurativa; la realtà, in fondo preistorica ed esotica del mondo arabo, come fondo e ambiente). Tutto questo rimette pericolosamente in ballo tutta la mia carriera di scrittore, lo so. Ma sarebbe bella che, amando così svisceratamente il Cristo di Matteo, temessi poi di rimettere in ballo qualcosa.

Non è una vita di Cristo, non ho messo insieme i Vangeli e fatto una sceneggiatura della vita di Cristo come si è fatto già altre volte, no, è proprio Vangelo secondo S. Matteo rappresentato così come esso è; non ho aggiunto una battuta e non ne ho tolta nessuna, seguo l’ordine del racconto tale quale come in S. Matteo, con dei tagli narrativi di una violenza e di una epicità quasi magiche presenti nel testo stesso del Vangelo, per cui questo film sarà stilisticamente una cosa piuttosto strana. Infatti a grandi pezzi da film muto – per lunghi tratti i personaggi non parlano, ma devono rappresentare quello che dicono soltanto attraverso i gesti e le espressioni come si faceva nei film muti — seguono momenti in cui per venti minuti di seguito Cristo parla. […] mi libero (stilisticamente) delle forme chiuse, degli elementi di sceneggiatura normale ecc. ecc. con questa ispirazione di tipo religioso e ideologico che spero dia unità e compattezza all’opera.

Il S. Matteo dovrebbe essere secondo me un violento richiamo alla borghesia stupidamente lanciata verso un futuro che è la distruzione dell’uomo, degli elementi antropologicamente umani, classici e religiosi dell’uomo.
La mia lettura del Vangelo non poteva che essere la lettura di un marxista, ma contemporaneamente serpeggiava in me il fascino dell’irrazionale, del divino, che domina tutto il Vangelo. Io come marxista non posso spiegarlo e non può spiegarlo nemmeno il marxismo. Fino a un certo limite della coscienza, anzi in tutta coscienza, è un’opera marxista: non potevo girare delle scene senza che ci fosse un momento di sincerità, intesa come attualità. Infatti, i soldati di Erode come potevo farli? Potevo farli con i baffoni, i denti digrignanti, vestiti di stracci, come i cori dell’opera? No, non li potevo fare così. Li ho vestiti un po’ da fascisti e li ho immaginati come delle squadracce fasciste o come i fascisti che uccidevano i bambini slavi buttandoli in aria.
Pier Paolo Pasolini

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