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La fontana della vergine (1960)

Recensito domenica 23 Ottobre 2016
Anno: 1960
Durata: 89 minuti
Regia: Ingmar Bergman
Sceneggiatura: Ulla Isaksson
Produttore: Ingmar Bergman, Allan Ekelund
Cast: Max von Sydow, Birgitta Valberg, Gunnel Lindblom, Birgitta Pettersson

La fontana della vergine è un film di Ingmar Bergman ispirato a una leggenda svedese del XIV secolo sceneggiata dalla scrittrice Ulla Isaksson. A differenza di altri film di Bergman, la vicenda è lineare, semplice da seguire. Inoltre la durata non è di quelle insormontabili: 85 minuti.

Voto

8

La fontana della vergine è un film di Ingmar Bergman ispirato a una leggenda svedese del XIV secolo sceneggiata dalla scrittrice Ulla Isaksson. A differenza di altri film di Bergman, la vicenda è lineare, semplice da seguire. Inoltre la durata non è di quelle insormontabili: 85 minuti.

Dove vederlo

La trama de La fontana della vergine

Medioevo nordico, 1200 circa. Una famiglia benestante invia alla chiesa Karin, la giovane e bella figlia: tradizione vuole che sia una vergine ad accendere i ceri alla Madonna. Insieme a lei una giovane serva, adoratrice di Odino – in quel momento il cristianesimo non aveva ancora preso totalmente il sopravvento sul paganesimo – che è stata vittima di violenza carnale e porta in grembo le conseguenze.

Durante il tragitto nella foresta, Karin viene adescata da tre fratelli, pastori miserandi, di cui uno muto e un altro ancora bambino. La ragazza accetta di dividere il pranzo con i tre, ma quando si renderà conto delle loro reali intenzioni sarà troppo tardi. SPOILER: i pastori la violentano sotto gli occhi del bambino, poi la uccidono con una bastonata. Proprio quella sera riceveranno ospitalità nella casa del padre della ragazza, ignaro della sorte della figlia. Scoperta la colpa dei pastori, il padre li uccide uno dopo l’altro.

Una parabola violenta aperta alla speranza

Con La fontana della vergine Bergman affronta in maniera diretta e molto esplicita un tema ricorrente dei suoi film e della sua vita: il rapporto con Dio. Bergman lo fa innanzitutto con un uso delle inquadratura e della fotografia che richiamano l’Ultima cena di Leonardo e scene del presepio. In questo modo, prima ancora che i personaggi aprano la bocca, fa capire allo spettatore il tema del film.

Poi ci sono i personaggi.
Karin è l’incarnazione della Grazia: bella, candida, innocente, da accogliere e proteggere come un dono del Cielo.
Il padre, un sempre grande Max von Sydow, è il personaggio in cui più si identifica Bergman: crede nel Dio cristiano, ma si avvale di un rito pagano (il rituale con acqua bollente e rami d’albero eseguito prima dello scontro finale); prega Dio ma non capisce il Suo volere. E questa incapacità diventa un grido. SPOILER: seguono il monologo e la scena finale del film.

Ma tu vedi? Dio, tu vedi?

Vedi la morte di un’innocente, vedi la mia vendetta, e non l’hai impedito!

Io non ti capisco. Io non ti capisco!

Eppure adesso chiedo il tuo perdono.
Non conosco altro mezzo per conciliarmi con queste mie mani.
Non conosco altro modo per vivere.

Ti faccio voto, Signore. Qui, sul corpo di questa mia unica figlia, ti faccio voto, in penitenza del mio peccato, di edificare una chiesa.

Qui, io la costruirò, di calce e di pietra. E con queste mie mani!

Da una parte il dolore lacerante per l’incapacità di comprendere Dio, dall’altra il voto: solo chi ama può accettare l’Altro anche se non lo capisce.

Subito dopo arriva la risposta di Dio, naturalmente non con le parole: i genitori sollevano il corpo della figlia da terra e, dai sassi dove poggiava il capo della fanciulla, sgorga una sorgente limpida. Alla “fontana della vergine” si bagnano il viso uno dopo l’altro, in segno di purificazione.

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