La trama di Arrebato (senza spoiler)
Rientrato a casa, il regista di film horror indipendenti José (Eusebio Poncela) trova l’ex fidanzata Ana (Cecilia Roth) in stato di incoscienza per uso di droga e un pacco contenente un nastro, una pellicola super 8 e una chiave. Dopo essersi fatto una dose, José ascolta il nastro. La voce di Pedro (Will More), un ragazzo che ha incontrato in un paio di occasioni, inizia a raccontargli un fatto sensazionale. Ascoltando il nastro, José rivive i momenti che hanno condiviso nella casa di campagna di Pedro.

Il primo incontro è avvenuto quando José e la sua ex Marta hanno visionato la casa come possibile location per un film. Pedro, cugino di Marta, ha reso partecipe José della sua passione quasi morbosa di filmare ogni cosa, all’ossessiva ricerca dell’essenza della realtà per raggiungere l’estasi; quindi gli ha mostrato alcuni suoi filmati. Nel loro secondo incontro José è accompagnato da Ana. Pedro sfida Ana a fissare una bambola di Betty Boop per delle ore e, mentre Ana si impegna nell’assurda sfida, nella stessa stanza i due uomini si drogano e hanno un rapporto sessuale.
Nel presente Ana si ridesta e si unisce a José nella visione del super 8, che contiene gli ultimi mesi di vita di Pedro. Il ragazzo si è trasferito in un monolocale a Madrid e ha una nuova telecamera in grado di riprendere da sola in modalità time-lapse. Un giorno si corica dimenticandola accesa e puntata su di sé. Al risveglio visiona il filmato e nota un fotogramma rosso nel quale vede se stesso comportarsi come se fosse accaduto qualcosa. Affascinato dall’evento, ripete più volte l’esperimento…
Arrebato, il cult malato di Zulueta

Arrebato è un film malato fin dalla sua fotografia, giallognola. Anche le sequenze girate all’aria aperta in una giornata di sole hanno un ché di malsano, problematico. Non c’è mai un momento in cui penserete “adesso andrà meglio”: la vicenda si sviluppa a imbuto, procedendo gradualmente e inesorabilmente verso un epilogo tremendo. Con qualche pausa, come il siparietto di Ana che danza vestita da Betty Boop: una scena girata con grande maestria che rappresenta l’ultimo scampolo di serenità prima dell’abisso.

Il rapporto malsano tra Pedro e la telecamera è simile alla dipendenza dall’eroina, con le medesime, nefaste conseguenze. José subisce l’influenza di Pedro e accetta di farsi coinvolgere nel “gioco” del giovane amico.
La ricerca dell’essenza delle cose è uno dei temi cardine del film. Ma è una ricerca malata, condizionata da un tramite: la telecamera, la droga. Come se, senza una lente che distorce o definisce la realtà, non fosse possibile coglierne l’essenza. Ma la telecamera da mezzo diventa tiranno, soggiogando chi ne fa uso, assorbendone l’energia vitale. Un po’ quello che succede oggi a chi vive la realtà attraverso lo schermo di un cellulare… Questa tematica, che oggi può sembrare banale ma all’epoca era profetica, viene sviluppata da Zulueta con una potenza visiva ed emotiva dirompente, restituendocela viva a oltre 40 anni di distanza.
Ad amplificare l’atmosfera disturbante del film una colonna sonora incalzante e straniante, alla quale ha collaborato lo stesso Zulueta.
Arrebato è vi resterà negli occhi per molti giorni, non come shock – non è un film che fa molta paura – ma come spunto di riflessione.
Iván Zulueta chi?
Iván Zulueta, spagnolo di San Sebastián, si forma come disegnatore a New York guardando a Andy Warhol. Tornato in Spagna, dirige alcuni cortometraggi e un film sulla musica pop: Un, dos, tres… al escondite inglés del 1970. Durante gli anni ’70 lavora come disegnatore di locandine, dirige altri cortometraggi, sperimenta le droghe leggere e diventa volontariamente eroinomane.
Nel 1979 dirige Arrebato, un film che mescola le sue passioni: il cinema e la droga. La versione originale di Arrebato, pensata da Zulueta, dura 3 ore: troppe per la produzione, che lo costringe a tagliarne mezz’ora. Non contenta, la produzione ne taglia altri 40 minuti senza interpellare il regista, portandolo all’attuale minutaggio (115 minuti). Il film esce nelle sale e fa fiasco, ma negli anni diventa una pellicola di culto: viene paragonato a Videodrome di Cronenberg (uscito nel 1983), i registi spagnoli Pedro Almodóvar e Álex de la Iglesia ne riconoscono l’influenza, addirittura David Fincher lo omaggia in alcune scene di Fight club.
Nonostante ciò, e nonostante Zulueta riesca a disintossicarsi, la fama di regista maledetto ed eroinomane lo tengono ai margini dell’ambiente cinematografico. Non dirige altri film, solo qualche puntata televisiva. Muore nel 2009 a San Sebastián all’età di 66 anni.
0 commenti