La trama della Casa dalle finestre che ridono (senza spoiler)

Stefano raggiunge un paesino nelle campagne ferraresi per restaurare un affresco raffigurante San Sebastiano, opera del pittore locale Buono Legnani, considerato pazzo.
Man mano che il suo lavoro procede, Stefano fa la conoscenza dei personaggi più in vista del paese che gli parlano con disprezzo del Legnani, arrivando a raccontargli la tragica fine: il pittore si è suicidato dandosi fuoco, ma il suo cadavere non è mai stato trovato. A questi dettagli si sommano le suggestioni dell’amico Antonio, che convince Stefano che ci sia qualcosa di strano nella vicenda del Legnani.
Stefano inizia a indagare il passato del pittore, ma a ogni scoperta il mistero, più che sciogliersi, sembra infittirsi.
NB: attenti agli spoiler! Non leggete la pagina Wikipedia prima di vedere il film, contiene spoiler perfino nel cast.
La casa dalle finestre che ridono: un’inquietante storia di provincia…

Il quinto film di Pupi Avati inquieta fin dalle immagini di apertura, mentre scorrono i titoli di testa sull’audio delle farneticazioni del pittore Buono Legnani. L’atmosfera gioca un ruolo primario ed è la vera forza del film: Avati contrappone la soleggiata campagna, i canali della laguna di Comacchio, la vita semplice di paese a una storia maledetta di morbosità, omicidi e incesti.

I silenzi delle brave persone di campagna, i segreti condivisi dalla comunità e taciuti agli estranei, i casolari isolati dove si muovono ombre minacciose, le carrarecce sperdute dove se gridi nessuno ti sente… tutto, anche le scene che si svolgono in pieno sole, alimentano un’inquietudine che via via si stringe attorno al protagonista e allo spettatore.
… Con un finale bellissimo

Il finale della Casa dalle finestre che ridono mette a referto un colpo di scena davvero ben congegnato, della serie: più è intricata la vicenda, più è semplice la soluzione.
Al termine della visione restano impressi diversi dettagli del film, ma forse più di tutto restano i personaggi e le loro facce. Lino Capolicchio (Stefano) è un protagonista spaesato ma non sprovveduto, un uomo comune ma caparbio e indomito; Gianni Cavina (Coppola) buca lo schermo nel ruolo del tassista ubriacone, uomo di cuore e di bottiglia; altri due volti iconici del film, seppur con ruoli minori, sono Eugene Walter (don Orsi) e Bob Tonelli (il sindaco Solmi) che, grazie anche alla fisicità poco mascolina del primo e affetta da nanismo del secondo, caratterizzano alla grande i loro personaggi.

Con questo film Pupi Avati traccia le linee guida per i suoi horror successivi: il protagonista diventa una sorta di detective che indaga una misteriosa vicenda del passato che si scopre proseguire anche nel presente. Zeder (1983), L’arcano incantatore (1996), Il nascondiglio (2007) e Il signor Diavolo (2019) seguono questo schema con buoni risultati, pur senza raggiungere le vette della Casa dalle finestre che ridono.
cosa dire di piu’ di quello che e’ stato gia’ detto.questa pellicola e’ puro orgoglio per il cinema italiano