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La trama di In nome del popolo italiano (senza spoiler)
Il giudice Mariano Bonifazi (Ugo Tognazzi) è un magistrato serio, tutto d’un pezzo, che crede fermamente nella giustizia e non chiude mai un occhio di fronte alla verità. Si ritrova tra le mani un caso di omicidio di una ragazza: sembra un caso semplice, ma le indagini dapprima rivelano che la giovane lavorava come accompagnatrice di ricchi imprenditori a cene e feste, poi che un noto industriale, Lorenzo Santenocito (Vittorio Gassman), è collegato in qualche modo alla vittima.

Santenocito è il tipico miliardario senza scrupoli negli affari e nella vita: immanicato con politici di vertice, uso a tangenti e altre scorciatoie per aggirare la legge, marito per convenienza e fedifrago, padre e figlio distratto, eccetera, eccetera. In sostanza Santenocito è l’archetipo dell’imprenditore che Bonifazi, onesto e di sinistra, detesta con tutto il cuore. E così, quando il giudice interroga Santenocito, non gli par vero di trovare più di un motivo per dubitare della sua estraneità al delitto.
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Due sceneggiatori straordinari: Age & Scarpelli
Se In nome del popolo italiano è un grandissimo film, lo si deve principalmente ai suoi sceneggiatori: Agenore Incrocci e Furio Scarpelli, noto duo conosciuto semplicemente come Age & Scarpelli che ha firmato alcune pietre miliari del cinema (La grande guerra, I soliti ignoti, Signore & signori, Tutti a casa).
Il film, infatti, vive di dialoghi molto intensi che, tra una battuta memorabile e un’amara constatazione, fanno sorridere e riflettere sui mali dell’Italia di allora, che sono simili a quelli dell’Italia di oggi: l’inquinamento, l’abuso edilizio, l’affarismo disonesto, l’eccesso di burocrazia, il potere della magistratura, l’ipocrisia della classe dirigente, le tangenti… A questi si aggiunge una radiografia tutt’altro che positiva della famiglia e della società tutta.
In particolare ci sono alcuni scambi, anche molto brevi, che usano il motto di spirito per affrescare in un battibaleno uno spaccato di realtà. Come questo tra il giudice Bonifazi e l’usciere:
Bonifazi: Pironti, c’è un bicchiere d’acqua?
Pironti: Eh, bisognerebbe andarlo a pija’!
Quanto dice questa battuta dell’amministrazione pubblica italiana!

Ma vogliamo parlare dei personaggi secondari? Age & Scarpelli creano una galleria di figure, alcune poco più che comparse, di grande efficacia e realismo. Su tutte spiccano i genitori della ragazza uccisa: due persone semplici, i classici vicini di casa gentili e premurosi, che si rivelano sanguisughe che campavano sulle spalle della figlia al punto da vedere di cattivo occhio l’interesse di un ragazzo che voleva sposarla.
Due attori straordinari: Tognazzi e Gassman

** Attenzione, in questo paragrafo farò qualche spoiler **
Che Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman siano tra i più grandi attori della storia non lo scopro certamente io, ma in questo film vale la pena sottolineare una volta di più il loro apporto.
Gassman gigioneggia, completamente a suo agio nella parte del “cattivo”: è ricco, è furbo, è disonesto, è l’uomo che fa di tutto per raggiungere il suo scopo, anche se illegale: un personaggio impossibile da amare. Eppure allo stesso tempo fa un po’ pena perché lui, dopotutto, è anche vittima del sistema-Italia di cui fa parte.

Gassman, insomma, dà vita a un personaggio pieno di sfumature, incarnandole in modo credibile.
Eccezionale la scena finale del sogno a occhi aperti di Bonifazi, quando Santenocito in prigione scaglia un’invettiva nel suo linguaggio ridicolmente aulico, finendo per impappinarsi e formulare parole senza senso.

Il personaggio di Tognazzi, però, è quello che più rimane impresso. Caso più unico che raro, Tognazzi impersona una figura totalmente drammatica. Bonifazi è un uomo solo: il suo matrimonio è fallito e l’ex moglie cerca di imbrogliarlo, i suoi colleghi l’hanno in antipatia per la sua eccessiva rigidità e un po’ lo temono; l’unico (mezzo) amico è il medico legale, che però lo sfotte in continuazione. Bonifazi è, in sostanza, uno sfigato che deve difendersi da tutto e da tutti, anche dalla stitichezza. In una figura così non c’è spazio per l’ironia e il sarcasmo, tipici di tanti personaggi di Tognazzi: l’attore si cala perfettamente nelle vesti di questo magistrato offrendo una prova compassata, quasi mesta, regalandoci una figura crepuscolare di grande impatto.

Bonifazi ha successo solo nel suo lavoro, dove si distingue per il grande senso di giustizia e la sordità completa verso qualsiasi tipo di illegalità. Eppure – e qui è il suo fallimento completo – quando scopre che la verità scagiona Santenocito, brucia le prove: sceglie di condannare un innocente perché con lui condanna tutta la classe dirigente, avida e corrotta, e tutto il popolo italiano, raffigurato come meschino e ignorante e per questo incapace di far valere i propri diritti. Ma così facendo Bonifazi rinnega anche se stesso, ammette la sconfitta del sistema giudiziario e agisce proprio come farebbe il suo avversario Santenocito.
Un finale amarissimo, forse il più amaro dell’intera commedia all’italiana.
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