Dove vederlo
La video-recensione dei Sacco e Vanzetti
Il film è diviso in due parti: nella prima si ripercorre la storia di Sacco e Vanzetti, dalla cattura al processo in aula che si chiude con la sentenza di condanna a morte dei due imputati. Nella seconda parte assistiamo alle mobilitazioni in favore di Sacco e Vanzetti promosse dal comitato di liberazione e da varie comunità, non solo quella italiana, e il lavoro degli avvocati per dimostrare l’innocenza dei condannati. Tutti i tentativi vengono ignorati e respinti: Sacco e Vanzetti, chiaramente innocenti, trovano la morte sulla sedia elettrica nel 1927.

Con questa condanna a morte il potere americano voleva dare un segnale forte contro la nascente minaccia comunista – benché né Sacco né Vanzetti fossero comunisti – e fu, come dire, il fiore all’occhiello della politica del terrore attuata dal ministro della giustizia degli Stati Uniti. Ma Sacco e Vanzetti divennero il simbolo delle vittime di errori giudiziari, di razzismo e intolleranza: il discorso finale alla corte di Vanzetti, così come come la lettera che Sacco scrisse al figlio poco prima che venisse eseguita la sentenza, restano nella storia (puoi leggerli in appendice alla recensione).

Il film è uno dei migliori di Montaldo e, se non sapessimo che si tratta di un film italiano, lo scambieremmo per un film americano: forse proprio perché racconta una storia “americana”, Sacco e Vanzetti ha non solo le ambientazioni e la caratterizzazione dei personaggi come quelli dell’epoca dei fatti, ma anche il ritmo – notevole soprattutto durante il processo – è quello di un film americano. La fotografia da gangster movie e i numerosi attori americani, inglesi e soprattutto irlandesi – probabilmente nel cast poiché gli esterni sono stati girati a Dublino – fanno il resto.

I due protagonisti sono interpretati da Gian Maria Volonté nei panni di Bartolomeo Vanzetti e Riccardo Cucciolla in quelli di Nicola Sacco. Volonté è sempre grande, ma Cucciolla non sfigura al suo fianco, tanto da vincere il premio come miglior attore al Festival di Cannes ‘71.
La colonna sonora di Ennio Morricone vede la collaborazione della cantautrice Joan Baez, che scrive il testo e canta il brano Here’s to You composto da Morricone: la canzone diventa una delle più celebri della Baez e un inno generazionale.
Sacco e Vanzetti è un film tosto, amaro, profondamente vero: tutti dovrebbero vederlo.
L’ultimo discorso di Bartolomeo Vanzetti

Sì. Quel che ho da dire è che sono innocente, non soltanto del delitto di Braintree, ma anche di quello di Bridgewater. Che non soltanto sono innocente di questi due delitti, ma che in tutta la mia vita non ho mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue. Questo è ciò che voglio dire. E non è tutto. Non soltanto sono innocente di questi due delitti, non soltanto in tutta la mia vita non ho rubato né ucciso né versato una goccia di sangue, ma ho combattuto anzi tutta la vita, da quando ho avuto l’età della ragione, per eliminare il delitto dalla terra.
Queste due braccia sanno molto bene che non avevo bisogno di andare in mezzo alla strada a uccidere un uomo, per avere del denaro. Sono in grado di vivere, con le mie due braccia, e di vivere bene. Anzi, potrei vivere anche senza lavorare, senza mettere il mio braccio al servizio degli altri. Ho avuto molte possibilità di rendermi indipendente e di vivere una vita che di solito si pensa sia migliore che non guadagnarsi il pane col sudore della fronte. Mio padre in Italia è in buone condizioni economiche. Potevo tornare in Italia ed egli mi avrebbe sempre accolto con gioia, a braccia aperte. Anche se fossi tornato senza un centesimo in tasca, mio padre avrebbe potuto occuparmi nella sua proprietà, non a faticare ma a commerciare, o a sovraintendere alla terra che possiede. Egli mi ha scritto molte lettere in questo senso, ed altre me ne hanno scritte i parenti, lettere che sono in grado di produrre.
Certo, potrebbe essere una vanteria. Mio padre e i miei parenti potrebbero vantarsi e dire cose che possono anche non essere credute. Si può anche pensare che essi sono poveri in canna, quando io affermo che avevano i mezzi per darmi una posizione qualora mi fossi deciso a fermarmi, a farmi una famiglia, a cominciare una esistenza tranquilla. Certo. Ma c’è gente che in questo stesso tribunale poteva testimoniare che ciò che io ho detto e ciò che mio padre e i miei parenti mi hanno scritto non è una menzogna, che realmente essi hanno la possibilità di darmi una posizione quando io lo desideri.
Vorrei giungere perciò ad un’altra conclusione, ed è questa: non soltanto non è stata provata la mia partecipazione alla rapina di Bridgewater, non soltanto non è stata provata la mia partecipazione alla rapina ed agli omicidi di Braintree né è stato provato che io abbia mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue in tutta la mia vita; non soltanto ho lottato strenuamente contro ogni delitto, ma ho rifiutato io stesso i beni e le glorie della vita, i vantaggi di una buona posizione, perché considero ingiusto lo sfruttamento dell’uomo.
Ho rifiutato di mettermi negli affari perché comprendo che essi sono una speculazione ai danni degli altri: non credo che questo sia giusto e perciò mi rifiuto di farlo. Vorrei dire, dunque, che non soltanto sono innocente di tutte le accuse che mi sono state mosse, non soltanto non ho mai commesso un delitto nella mia vita — degli errori forse, ma non dei delitti — non soltanto ho combattuto tutta la vita per eliminare i delitti, i crimini che la legge ufficiale e la morale ufficiale condannano, ma anche il delitto che la morale ufficiale e la legge ufficiale ammettono e santificano: lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. E se c’è una ragione per cui io sono qui imputato, se c’è una ragione per cui potete condannarmi in pochi minuti, ebbene, la ragione è questa e nessun’altra.
Chiedo scusa. I giornali hanno riferito le parole di un galantuomo, il migliore che i miei occhi abbiano visto da quando sono nato: un uomo la cui memoria durerà e si estenderà, sempre. più vicina e più cara al popolo, nel cuore stesso del popolo, almeno fino a quando durerà l’ammirazione per la bontà e per lo spirito di sacrificio. Parlo di Eugenio Debs. Nemmeno un cane — egli ha detto — nemmeno un cane che ammazza i polli avrebbe trovato una giuria americana disposta a condannarlo sulla base delle prove che sono state prodotte contro di noi. Quell’uomo non era con me a Plymouth né con Sacco a Boston, il giorno del delitto. Voi potete sostenere che è arbitrario ciò che noi stiamo affermando, che egli era onesto e riversava sugli altri la sua onestà, che egli era incapace di fare il male e riteneva ogni uomo incapace di fare il male.
Certo, può essere verosimile ma non lo è, poteva essere verosimile ma non lo era: quell’uomo aveva una effettiva esperienza di tribunali, di carceri e di giurie. Proprio perché rivendicava al mondo un po’ di progresso, egli fu perseguitato e diffamato dall’infanzia alla vecchiaia, e in effetti è morto non lontano dal carcere. Egli sapeva che siamo innocenti, come lo sanno tutti gli uomini di coscienza, non soltanto in questo ma in tutti i paesi del mondo: gli uomini che hanno messo a nostra disposizione una notevole somma di denaro a tempo di record sono tuttora al nostro fianco, il fiore degli uomini d’Europa, i migliori scrittori, i più grandi pensatori d’Europa hanno manifestato in nostro favore. I popoli delle nazioni straniere hanno manifestato in nostro favore.
È possibile che soltanto alcuni membri della giuria, soltanto due o tre uomini che condannerebbero la loro madre, se facesse comodo ai loro egoistici interessi o alla fortuna del loro mondo; è possibile che abbiano il diritto di emettere una mia situazione di scapolo si meravigliavano e mi dicevano: «Ma perché lei lavora come un pazzo, se non ha né figli né moglie di cui preoccuparsi?». Katzmann poteva dunque dirsi soddisfatto di quell’accordo. Poteva ringraziare il suo Dio e stimarsi un uomo fortunato. Eppure, egli non era soddisfatto. Infranse la parola data e disse alla giuria che io ero già stato processato in tribunale. Io non so se ne è rimasta traccia nel verbale, se è stato omesso oppure no, ma io l’ho udito con le mie orecchie. Quando due o tre donne di Plymouth vennero a testimoniare, appena la prima di esse raggiunse il posto ove è seduto oggi quel gentiluomo — la giuria era già al suo posto — Katzmann chiese loro se non avesse già testimoniato in precedenza per Vanzetti. E alla loro risposta affermativa replicò: «Voi non potete testimoniare». Esse lasciarono l’aula. Dopo di che testimoniarono ugualmente.
Ma nel frattempo egli disse alla giuria che io ero già stato processato in precedenza. È con questi metodi scorretti che egli ha distrutto la mia vita e mi ha rovinato. Si è anche detto che la difesa avrebbe frapposto ogni ostacolo pur di ritardare la prosecuzione del caso. Non è vero, e sostenerlo è oltraggioso. Se pensiamo che l’accusa, lo Stato, hanno impiegato un anno intero per l’istruttoria, ciò significa che uno dei cinque anni di durata del caso è stato preso dall’accusa solo per iniziare il processo, il nostro primo processo. Allora la difesa fece ricorso a lei, giudice Thayer, e lei aspettò a rispondere; eppure io sono convinto che aveva già deciso: fin dal momento in cui il processo era finito, lei aveva già in cuore la risoluzione di respingere tutti gli appelli che le avremmo rivolti.
Lei aspettò un mese o un mese e mezzo, giusto per render nota la sua decisione alla vigilia di Natale, proprio la sera di Natale. Noi non crediamo nella favola della notte di Natale, né dal punto di vista storico né da quello religioso. Lei sa bene che parecchie persone del nostro popolo ci credono ancora, ma se noi non ci crediamo ciò non significa che non siamo umani. Noi siamo uomini, e il Natale è dolce al cuore di ogni uomo. Io penso che lei abbia reso nota la sua decisione la sera di Natale per avvelenare il cuore delle nostre famiglie e dei nostri cari. Mi dispiace dir questo, ma ogni cosa detta da parte sua ha confermato il mio sospetto fino a che il sospetto è diventato certezza.
Per presentare un nuovo appello, in quel periodo, la difesa non prese più tempo di quanto ne avesse preso lei per rispondere. Ora non ricordo se fu in occasione del secondo o del terzo ricorso, lei aspettò undici mesi o un anno prima di risponderci; e io sono sicuro che aveva già deciso di rifiutarci un nuovo processo prima ancora di consultare l’inizio dell’appello. Lei prese un anno, per darci questa risposta, o undici mesi. Cosicché appare chiaro che, alla fine, dei cinque anni, due se li prese lo Stato: uno trascorse dal nostro arresto al processo, l’altro in attesa di una risposta al secondo a al terzo appello.
Posso anzi dire che, se vi sono stati ritardi, essi sono stati provocati dall’accusa e non dalla difesa. Sono sicuro che se qualcuno prendesse una penna in mano e calcolasse il tempo preso dall’accusa per istruire il processo e il tempo preso dalla difesa per tutelare gli interessi di noi due, scoprirebbe che l’accusa ha preso più tempo della difesa. C’è qualcosa che bisogna prendere in considerazione a questo punto, ed è il fatto che il mio primo avvocato ci tradì. Tutto il popolo americano era contro di noi. E noi abbiamo avuto la sfortuna di prendere un secondo legale in California: venuto qui, gli è stato dato l’ostracismo da voi e da tutte le autorità, perfino dalla giuria. Nessun luogo del Massachusetts era rimasto immune da ciò che io chiamo il pregiudizio, il che significa credere che il proprio popolo sia il migliore del mondo e che non ve ne sia un altro degno di stargli alla pari.
Di conseguenza, l’uomo venuto dalla California nel Massachusetts a difendere noi due, doveva essere divorato, se era possibile. E lo fu. E noi abbiamo avuto la nostra parte. Ciò che desidero dire è questo: il compito della difesa è stato terribile. Il mio primo avvocato non aveva voluto difenderci. Non aveva raccolto testimonianze né prove a nostro favore. I verbali del tribunale di Plymouth erano una pietà. Mi è stato detto che più di metà erano stati smarriti. Cosicché la difesa aveva un tremendo lavoro da fare, per raccogliere prove e testimonianze, per apprendere quel che i testimoni dello Stato avevano sostenuto e controbatterli. E considerando tutto questo, si può affermare che se anche la difesa avesse preso doppio tempo dello Stato, ritardando così il caso, ciò sarebbe stato più che ragionevole. Invece, purtroppo, la difesa ha preso meno tempo dello Stato.
Ho già detto che non soltanto non sono colpevole di questi due delitti, ma non ho mai commesso un delitto in vita mia non ho mai rubato, non ho mai ucciso, non ho mai versato una goccia di sangue, e ho lottato contro il delitto, ho lottato sacrificando anche me stesso per eliminare i delitti che la legge e la chiesa ammettono e santificano. Questo è ciò che volevo dire. Non augurerei a un cane o a un serpente, alla più miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un’altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di più per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora.
Ho finito. Grazie.
Bartolomeo Vanzetti, 9 aprile 1927
La lettera di Nicola Sacco al figlio

Questa è l’ultima lettera che Nicola Sacco scrisse al figlio Dante nei giorni precedenti l’esecuzione. Il figlio la potrà ricevere solo molto tempo dopo.
Mio carissimo figlio e compagno, …
Sin dal giorno che ti vidi per l’ultima volta ho sempre avuto idea di scriverti questa lettera: ma la durata del mio digiuno e il pensiero di non potermi esprimere come era mio desiderio, mi hanno fatto attendere fino ad oggi. Non avrei mai pensato che il nostro inseparabile amore potesse così tragicamente finire ! ….
Ma questi sette anni di dolore mi dicono che ciò è stato reso possibile. Però questa nostra separazione forzata non ha cambiato di un atomo il nostro affetto che rimane più saldo e più vivo che mai. Anzi, se ciò è possibile, si è ingigantito ancor più. Molto abbiamo sofferto durante il nostro lungo calvario.
Noi protestiamo oggi, come protestammo ieri e protesteremo sempre per la nostra libertà. Se cessai il mio sciopero della fame, lo feci perché in me non era rimasta ormai alcuna ombra di vita ed io scelsi quella forma di protesta per reclamare la vita e non la morte, il mio sacrificio era animato dal desiderio vivissimo che vi era in me, per ritornare a stringere tra le mie braccia la tua piccola cara sorellina Ines, tua madre, te e tutti i miei cari amici e compagni di vita, non di morte.
Perciò, figlio, la vita di oggi torna calma e tranquilla a rianimare il mio povero corpo, se pure lo spirito rimane senza orizzonte e sempre sperduto tra tetre, nere visioni di morte. Ricordati anche di ciò figlio mio. Non dimenticarti giammai, Dante, ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri e più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso.
Aiuta i perseguitati e le vittime perché essi saranno i tuoi migliori amici, essi sono i compagni che lottano e cadono, come tuo padre e Bartolomeo lottarono e oggi cadono per aver reclamati felicità e libertà per tutte le povere cenciose folle del lavoro. In questa lotta per la vita tu troverai gioia e soddisfazione e sarai amato dai tuoi simili.
Continuamente pensavo a te, Dante mio, nei tristi giorni trascorsi nella cella di morte, il canto, le tenere voci dei bimbi che giungevano fino a me dal vicino giardino di giuoco ove vi era la vita e la gioia spensierata -a soli pochi passi di distanza dalle mura che serrano in una atroce agonia tre anime in pena!… Tutto ciò mi faceva pensare a te e ad Ines insistentemente, e vi desideravo tanto, oh, tanto. figli miei!…
Ma poi pensai che fu meglio che tu non fossi venuto a vedermi in quel giorni, perché nella cella di morte ti saresti trovato al cospetto del quadro spaventoso di tre uomini in agonia, in attesa di essere uccisi, e tale tragica visione non so quale effetto avrebbe potuto produrre nella tua mente, e quale influenza avrebbe potuto avere nel futuro.
D’altra parte, se tu non fossi un ragazzo troppo sensibile una tale visione avrebbe potuto esserti utile in un futuro domani, quando tu avresti potuto ricordarla per dire al mondo tutta la vergogna di questo secolo che è racchiusa in questa crudele forma di persecuzione e di morte infame.
Si, Dante mio, essi potranno ben crocifiggere i nostri corpi come già fanno da sette anni: ma essi non potranno mai distruggere le nostre Idee che rimarranno ancora più belle per le future generazioni a venire. Dante, per una volta ancora ti esorto ad essere buono ed amare con tutto il tuo affetto tua madre in questi tristi giorni: ed io sono sicuro che con tutte le tue cure e tutto il tuo affetto ella si sentirà meno infelice.
E non dimenticare di conservare un poco del tuo amore per me, figlio, perché io ti amo tanto, tanto… I migliori miei fraterni saluti per tutti i buoni amici e compagni, baci affettuosi per la piccola Ines e per la mamma, e a te un abbraccio di cuore dal tuo padre e compagno.
Nicola Sacco
Crediti: testi tratti dal sito SaccoeVanzetti.it
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