“Ma allora che cosa devo fare?“, gridò di nuovo, e allora gli parve di conoscere esattamente la risposta crudele: andare sino in fondo. Un altro viaggio solitario, il peggiore.
“Come? Io, solo, andare alla Voragine del Fato e tutto il resto?”. Esitava ancora, ma il suo intento si rinforzava. “Come? Io togliere l’anello dalla sua mano? Il Consiglio lo affidò a lui.”
Ma la risposta giunse immediata: “E il Consiglio gli diede dei compagni, affinché la missione non fallisse. E tu sei l’ultimo della Compagnia, la missione non deve fallire.”
“Se soltanto non fossi io l’ultimo!“, gemette. “Che cosa darei perché Gandalf o qualcun altro fosse qui! Perché mi lasciano qui solo con questa terribile decisione da prendere? Sono certo di sbagliare. E poi non tocca a me prendere l’Anello, farmi avanti.”
“Ma non ti stai facendo avanti; sei stato spinto in avanti. In quanto a non essere la persona adatta, nemmeno il signor Frodo era proprio quel che si potrebbe definire la persona più indicata, e nemmeno il signor Bilbo. Non furono loro a decidere.”
“Ebbene, io invece devo decidere. E deciderò. Ma sono convinto che commetterò un errore: tipico di Sam Gamgee.”
L’iperbole del Signore degli anelli è straordinaria: qualcuno ci chiama (“sei stato spinto in avanti”) a un grande compito, in apparenza inadeguato (“sono certo di sbagliare”) alle nostre limitate forze e capacità, ma non siamo soli: ci sono amici (“E il Consiglio gli diede dei compagni, affinché la missione non fallisse”) che ci accompagnano in questa “missione”, aiutandoci ad affrontare il cammino. Nei momenti di sconforto affiora il grido: ma perché proprio a me? (“Se soltanto non fossi io l’ultimo!”) Come vorrei che Dio/la mamma/qualcuno retto e forte risolvesse i miei problemi! (“Che cosa darei perché Gandalf o qualcun altro fosse qui!”) Insomma, il cammino è tutt’altro che semplice, però tutto – a parte Sauron, il male assoluto – sembra misteriosamente concorrere al bene, anche personaggi negativi come Gollum:
“Ricordiamoci che un traditore può tradire se stesso e compiere del bene che non intende fare. A volte può accadere.”
Sulla grandezza del Signore degli anelli

Con Il signore degli anelli Tolkien ha realizzato un’opera immane, anche se me ne sono accorto solo alla fine. L’ultimo capitolo narra il ritorno dei quattro Hobbit a Contea, ma non è un ritorno trionfale: dopo aver combattuto mille battaglie, scoprono che ne rimane ancora una, l’ultima. Ed è lì, in quelle pagine che non sono né meglio né peggio delle altre 1200 già lette, che sento il cuore stringersi e, nelle ultime righe, apprestandomi a salutare i personaggi, nasce potente il desiderio di saperne di più su di loro, sulla loro vita e sui loro popoli. E così a pagina 1258 non chiudo il libro, ma proseguo divorando l’Appendice– un centinaio di pagine a caratteri minuscoli – che racconta la storia dei vari popoli: Uomini, Elfi, Nani, Hobbit, nonché di Sauron, Saruman e Gandalf.
L’Appendice sta al Signore degli anelli come il Vecchio Testamento sta al Nuovo. E il paragone non è sballato, se pensiamo ai numerosi riferimenti al cristianesimo contenuti nel Signore degli anelli, molti dei quali, ne sono certo, non li avrò colti. Ma il punto non è se Il signore degli anelli sia un romanzo “cristiano” oppure no, perché non è necessario cogliere analogie per goderselo pienamente. Tolkien inventa un universo favoloso per complessità e profondità: per dar vita a una storia che verte su una trentina di personaggi si immagina intere genealogie, lingue, usanze, culture e specie diverse, ed è proprio questa profondità che conquista il lettore, legato non solo a una storia o a dei personaggi – come avviene in tutti gli altri romanzi che ho letto – ma a un vero e proprio mondo che esiste solo nella penna di Tolkien.
Per questi motivi, e mille altri ancora che troverete nella sconfinata bibliografia sull’opera di Tolkien e sulla Terra di Mezzo, Il signore degli anelli non è solo un bellissimo romanzo, ma un’esperienza letteraria unica per i lettori di ogni età.
Il signore degli anelli è un capostipite della letteratura che va oltre il genere fantasy. La recensione gli rende merito. Alcuni paragonano Tolkien a Lewis di Narnia, forse hanno elementi in comune come la magia e aspetti divini, ma sicuramente viaggiano su piani diversi sia narrativi che morali. In Lewis sono più evidenti gli aspetti religiosi, palese la figura del Leone, mentre in Tolkien è chiaro o almeno appare evidente il percorso dell’eroe che non torna a casa per forza vincente ma cambiato sì dopo avere trovato energie e forze che non sapeva di avere. Pochi romanzi o cicli di romanzi hanno la potenza di Tolkien.
Non ho letto Le cronache di Narnia, probabilmente lo farò in futuro. Sono un neofita del fantasy e, a dirla tutta, non credo leggerò molto altro. Ma Tolkien sì, lo leggerò ancora e con attenzione. Di Lewis lessi Le lettere di Berlicche, eccezionali.
L’appendice non è altro che un breve riassunto del Simarillon. Quello è il vero “Vecchio Testamento” (o meglio, l’intera Bibbia) de mondo di Tolkien. Te lo consiglio, anche se ti avviso che inizierai a capirci qualcosa solo dopo 2 o 3 volte che lo leggi…
Lo metto in cantiere per il 2019, nella speranza di capirlo al primo tentativo.
Io ebbi comprato questo romanzo nel maggio 1990, e più precisamente il 02/05/1990 (mercoledì), e mi era piaciuto molto , ora che sono passati 31 anni non so se mi piace ancora.. , e pensare che invece che lavorare trascorro tante ore su quel libro!
Apprezzo il nonsense (spero voluto) del tuo commento. Dimmi qualcosa quando saprai se ti piace ancora oppure no.