Nel 1989 Lou Reed ha 47 anni; alle spalle il ruolo di frontman della più importante rock band della storia della musica “leggera” – The Velvet Underground – e una vigorosa carriera da cantautore maledetto. Il ragazzo aveva infilato almeno 3 album di notevolissimo impatto: Transformer (1972), Coney Island Baby (1975) e soprattutto Berlin (1973). Gli anni Ottanta, iniziati benino, si stavano concludendo con un trittico mediocre: Legendary hearts, New sensations, Mistrial. Forse Lou intuisce che un album di inediti all’anno è un ritmo non più sostenibile: dopo Mistrial si prende 3 anni di pausa.
Poi muore Andy Warhol, persona fondamentale nella vita non solo artistica di Reed (tutti ricorderete la sua banana sulla copertina di The Velvet Underground & Nico). La morte di Warhol rivitalizza Lou: in un biennio escono New York, probabilmente il suo miglior album solista, e Songs for Drella, un disco intimo, dolcissimo, scritto con l’amico di un tempo John Cale in omaggio proprio a Warhol (Drella era uno dei suoi soprannomi).
Cos’ha di speciale New York?
(Non parlerò dei testi: se vi interessano, sono tradotti qui)
Reed canta, o meglio parla, su un tappeto musicale di arioso rock ‘n’ roll, con la chitarra che sembra ballare sulla ripetitività / circolarità delle melodie. Il suono è essenziale, arriva pulito e preciso: sono rare le distorsioni.
Le prime 5 sono un colpo al cuore: indeciso se strapparmi i capelli perché no, non possono essere così belle, o commuovermi per tanta perfezione, mi scaldo con Romeo had Juliette prima di farmi trascinare dalle grintose There is no time (qui Lou addirittura canta) e Dirty blvd (il suo riff è semplicemente definitivo). In mezzo due pezzi da ascoltare in silenzio, lasciandosi cullare dalle note delicate delle chitarre.
La traccia numero 6 è Last great american whale, un brano di una semplicità disarmante, ma che al centoventesimo ascolto non mi ha ancora stancato. Anzi, tocca corde sempre nuove dentro me, e l’idea di quest’ultima grande balena americana mi ha perseguitato per anni, finché ho letto il testo e, beh, triste cazzo, ma bello. L’ultima grande balena americana è forse la mia canzone preferita di New York.
Beginning of the great adventure e Dime store mystery ci ricordano chi è Lou Reed: un cantore di storie urbane, capace di alternare riff (quasi) radiofonici a brani d’atmosfera che se ne sbattono della struttura della canzone mainstream per addentrarsi in territori inquieti e inquietanti.
Gli altri 6 brani sono tutti di alto livello. Ad esempio, è un delitto che Hold on non sia in rotazione quotidiana in tutte le radio, mentre Xmas in February dovrebbero farla ascoltare ai bambini la sera di Natale, prima di metterli a letto.
Good evening mr. Waldheim è puro rock ‘n’ roll, irriverente, frizzante, armonioso. Una canzone perfetta, ma il testo è tagliente, ahi se è tagliente!
Strawman, la penultima, è un brano di inaudita potenza, una delle rare occasioni in cui Lou Reed canta usando tutta la voce, fino a “grattare” un po’. Alzate il volume e gridate il ritornello insieme a Lou: “Strawman, going straight to the devil / Strawman, going straight to hell”.
Siamo arrivati in fondo ai 56 minuti e 48 secondi di New York. Che altro dire se non un grazie infinito a Lou Reed per non esser morto prima dei trenta, come andava di moda allora fra le rockstar; grazie perché dopo Transformer hai proseguito per la tua strada, non come quel modaiolo di Bowie che un album come New York se lo sogna; grazie perché prima di lasciare questa terra mi hai aspettato, regalandomi un memorabile concerto a Sogliano al Rubicone.
New York (1989)
- Romeo Had Juliette (3:09)
- Halloween Parade (3:33)
- Dirty Blvd. (3:29)
- Endless Cycle (4:01)
- There Is No Time (3:45)
- Last Great American Whale (3:42)
- Beginning of a Great Adventure (4:57)
- Busload of Faith (4:50)
- Sick of You (3:25)
- Hold On (3:24)
- Good Evening Mr. Waldheim (4:35)
- Xmas in February (2:55)
- Strawman (5:54)
- Dime Store Mistery (5:01)
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