Guarda la video-recensione di Smile
Questa video-recensione l’ho registrata a mezzanotte nel parcheggio di casa, al rientro dalla visione di Smile al cinema.
Cinque motivi per vedere Smile
- Fa paura: dopo un’ora inizierete a chiedere pietà, basta scene terrificanti, basta jump scare.
- I jump scare non sono banali: Parker Finn evita alcuni dei cliché dell’horror più ripetitivi (apparizioni nello specchio, dietro la porta del frigo, ecc.) e tende a piazzare il “buh!” quando o come non te lo aspetti.
- Va dritto al punto: non si perde in preamboli, dopo cinque minuti siamo già dentro la storia e ci siamo già presi paura un paio di volte.
- È un vero film horror: Parker Finn, a parte un paio di inquadrature capovolte, gira un film horror senza eccessi di autorialità. Ne esce un prodotto solido, ben girato, che fa il suo dovere fino in fondo.
- L’attrice protagonista, Sosie Bacon, è impressionante: il suo deperimento fisico e psicologico è molto realistico e angosciante (vedi foto sotto). Con la sua prova attoriale sorregge tutto il film sulle sue spalle.

Cosa manca a Smile per essere una pietra miliare dell’horror
Smile, dicevo, è un horror duro e puro, ma non è un capolavoro. Perché?
Fondamentalmente gli manca profondità. La “maledizione del sorriso” non ha una vera ragione di esistere, non richiama miti o tradizioni, né ha un significato metaforico – avete presente It follow?
Smile è un po’ fine a se stesso. Fa paura, sì, e anche molta. Ma nient’altro.
A questo si aggiungono le prove attoriali pessime dei due co-protagonisti: l’ex fidanzato della dottoressa, il poliziotto Kyle Gallner, e l’attuale fidanzato interpretato da Jessie T. Usher. La colpa non è solo loro, ma anche dei personaggi, abbastanza piatti, che devono interpretare. (Potrei citare anche il cognato, veramente imbarazzante, per fortuna sta in scena pochissimo.)
Ma il difetto principale di Smile è il finale. Come dico nel video, dopo un’ora e mezza terrificante, il gran finale è un pasticcio sia a livello di intreccio, che di resa horror. Parker Finn ricorre troppo al giochino del “succede questo, ma stavi sognando” e nel finale, telefonatissimo, passa il limite. Sarebbe bastato un piccolo colpo di scena… o anche solo un “mostro” credibile, anziché quel gigante con una maschera ridicola che suscita più risate che brividi.
E va beh, pazienza, è andata così. Provaci ancora Finn!

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