Normale, non banale
Badate bene, William Stoner non è uno sfigato. È un uomo di inizio Novecento che è scampato al duro lavoro dei campi seguendo un’intuizione, che poi è diventata una passione, infine un lavoro.
Si è sposato con Edith, ma si è sposato male. Ha avuto una figlia, Grace, piccola consolazione alla sua desolante vita famigliare.
Professore serio, a tratti brillante, non è riuscito a fare la carriera universitaria che desiderava, ma ha lottato metro per metro, centimetro per centimetro, per insegnare ciò che più l’appassionava, nonostante l’ostracismo di un superiore.
William Stoner forse non è un esempio di vita, ma è una vita, e questo in un romanzo è (quasi) tutto.
La fede e la cenere
La cosa che mi ha sorpreso più di tutte leggendo Stoner è la totale assenza di fede. Non solo la fede in Dio, ma la fede nelle cose quotidiane. Una fede che si trova anche nel micidiale Furore di Steinbeck, capolavoro che finisce con un’ultima, disperata speranza.
Qui non c’è la fede, quindi nemmeno la speranza, perché senza la fede non può esserci la speranza: se non ho fede nel mio fisico sano, come posso sperare di svegliarmi domattina?
Quest’assenza di fede rende Stoner un romanzo amaro, arido ed estremo. Ogni cosa è cenere ed è pronta a tornare cenere: persone, sentimenti, desideri; tutto.
E così ho letto Stoner sperando, una pagina via l’altra, che qualcuno o qualcosa salvassero il professor Stoner dal suo destino, dal suo essere cenere.
Sotto la cenere
Stoner è un libro che va esaltato. Non per la capacità di John Williams di raccontare in modo quasi avvincente una vita normale – questo è compito di critici e letterati – quanto perché un romanzo così è un monito a tutti noi: state in guardia, se non volete vivere una vita da Stoner.
Eppure. Eppure chissà se qualcosa rimane di una vita totalmente data. Laddove il rinsecchimento è un dono di sé fino alla linfa. Ma Stoner non ha trovato chi sapesse accogliere tutta la sua vita di uomo. Né gli amici, né i familiari, né i colleghi. Nessuno lo ha veramente abbracciato e a noi la domanda rimane.