La video-recensione di Talk to me
La trama di Talk to me (no spoiler)
Sono due anni che Mia ha perso la madre: vive un difficile rapporto con il padre e si appoggia totalmente alla famiglia dell’amica Jade, è molto legata anche a Riley, il fratello di Jade che ha qualche anno in meno di loro.
Mia, Jade e Riley partecipano a una serata nella quale si fa un gioco esoterico: una persona viene legata a una sedia e deve stringere una mano di ceramica che dicono contenga la mano mummificata di un potente sciamano, dopodiché si dice “parlami” e appare di fronte alla persona un demone, a quel punto bisogno dire “entra in me” e si viene posseduti, tra l’ilarità e lo spavento dei presenti che filmano tutto coi telefonini. La possessione può durare un massimo di 90 secondi e viene interrotta staccando la mano del posseduto da quella dello sciamano e spegnendo la candela.

Mia, per farsi accettare nel gruppo che aveva invitato la sola Jade, si sottopone al gioco. L’esperimento, davvero spaventoso, si rivela un successo, così qualche giorno dopo organizzano una serata di “talk to me” a casa di Jade. Stavolta gioca anche il fratellino Riley, che viene posseduto dalla madre di Mia. Mia parla brevemente con sua madre, ma poi qualcosa va storto: è l’inizio di un incubo che avrà conseguenze mortali.
Un buon horror, ma…
Talk to me è quel che si dice un buon film: le sue qualità si evidenziano fin dalle prime scene, dove un paio di sequenze – l’accoltellamento di un ragazzo e il ritrovamento di un canguro agonizzante investito da un’auto – anticipano quel che accadrà senza ovviamente lasciarlo intuire. I personaggi sono costruiti con cura, ben caratterizzati: Jade è una ragazza sicura di sé, protettiva, già adulta; Mia è emotivamente instabile, alla ricerca di una figura di riferimento; anche quelli secondari, come il padre di Mia, sono più di una semplice figura di contorno.

L’idea di farsi possedere per 90 secondi da un demone è buona, funziona bene da innesco della storia e anche gli sviluppi sono interessanti, poco prevedibili e non banali. Tuttavia la storia, se paragonata a un altro horror australiano di successo come Babadook (realizzato dagli stessi produttori di Talk to me), manca di universalità. Il dramma personale di Mia – la perdita del genitore di riferimento – è un tema forte ed è proprio l’assenza di altre figure materne a rendere debole la ragazza, però il dramma rimane principalmente privato, personale.

Altro appunto che mi sento di fare a Talk to me è proprio il fattore paura: non gioca con i jump scare, e questo va sicuramente a suo favore, inoltre ci sono alcuni momenti molto riusciti, come la possessione di Riley, ma la tensione è altalenante: al termine di ogni “scena horror” ci si rilassa, l’inquietudine scompare. Solo i grandi film sanno mantenere lo spettatore in uno stato d’ansia o di allerta per l’intera durata, e questo Talk to me, pur essendo tra i migliori horror degli ultimi anni, di certo non fa la storia del genere.

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