Qualche tempo fa ho scritto un post dal titolo Lo spessore di un libro, dove affermavo, in sintesi, che la differenza la fa l’esperienza umana che l’autore è in grado di comunicare tramite quel che scrive. Negli ultimi tempi, però, ho notato un’altra grande prospettiva: la crescita dell’autore in quello che scrive. Più un autore si pone sinceramente e liberamente davanti a un manoscritto – e la cosa richiede grande fatica – più c’è per lui la possibilità di crescere umanamente (oltre che professionalmente); cosa che accade anche in ogni altro tipo di lavoro.
Mi ha fatto un po’ scandalo sentire Giorgio Faletti a Viva Radio 2 ammettere candidamente che lui non legge praticamente nulla. Ma come! Un autore così noto – certo più per le trame dei suoi libri che per lo spessore di cui qui si parla – che ha venduto milioni di copie, sceglie di scrivere romanzi su romanzi restando consapevolmente fuori da una prospettiva culturale!
Per me è una cosa inconcepibile: senza l’intento propulsivo di fare cultura – sicuramente talvolta non riuscendoci – non avrei scritto manco una pagina in vita mia. Certo, ci sono grandi personaggi che scrivevano per lavoro ed erano pagati un tanto a riga, ma nonostante questo non si può certo dire che i loro testi fossero incapaci di un giudizio profondo sull’uomo del loro tempo (penso al Conte di Montecristo). Sarà per questo che ho rivenduto Io uccido al Libraccio?
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