Home 9 Ho letto 9 Il diavolo al Pontelungo: Bakùnin, Cafiero, Andrea Costa e la rivoluzione anarchica che non venne mai

Il diavolo al Pontelungo: Bakùnin, Cafiero, Andrea Costa e la rivoluzione anarchica che non venne mai

Scritto lunedì 15 Luglio 2024

Anni dopo la mia "scoperta" di Bacchelli e del romanzo più noto, lo sconfinato e portentoso Il mulino del Po, che resta una delle letture che ricordo con più piacere, mi sono deciso finalmente ad affrontare l'altra celebre opera dello scrittore bolognese, Il diavolo al Pontelungo.

Questo romanzo, uscito per la prima volta nel 1927 (11 anni prima del Mulino), è stato ripubblicato in diverse edizioni, ognuna con modifiche importanti, raggiungendo la forma definitiva solo alla sesta edizione del 1957. È di questa che vi parlo.

Voto

7

Anni dopo la mia "scoperta" di Bacchelli e del romanzo più noto, lo sconfinato e portentoso Il mulino del Po, che resta una delle letture che ricordo con più piacere, mi sono deciso finalmente ad affrontare l'altra celebre opera dello scrittore bolognese, Il diavolo al Pontelungo.

Questo romanzo, uscito per la prima volta nel 1927 (11 anni prima del Mulino), è stato ripubblicato in diverse edizioni, ognuna con modifiche importanti, raggiungendo la forma definitiva solo alla sesta edizione del 1957. È di questa che vi parlo.

La trama de Il diavolo al Pontelungo

Il libro è suddiviso in due parti: La Baronata e Bologna, anticipate da un preludio e seguite da un epilogo.

Nel preludio si racconta un “fatto di cent’anni fa”: alla vigilia della festa di San Giovanni, l’arciprete di Borgo Panigale passeggia sul Pontelungo sul Reno e lì si imbatte in uno straniero che altri non è che il diavolo travestito. Rientrato in parrocchia, fa salire il sagrestano sul campanile con l’incarico di avvisarlo alla comparsa della prima nuvola in quel cielo serenissimo. E una nuvoletta appare, minuscola ma in rapido avvicinamento. Subito il prete veste i paramenti e corre a benedire la campagna, così che la nuvola, che intanto si era ingrossata e fatta temporalesca, al suo arrivo non trova neanche un terreno profano ed è costretta a ritirarsi sul Reno e là sgravare fulmini e grandine.

In La Baronata assistiamo all’arrivo di Carlo Cafiero a Locarno, dove raggiunge un Michele Bakùnin che vive in povertà assoluta con la moglie Antonia. Cafiero, invece, è molto ricco per l’eredità ricevuta. I due decidono di acquistare un casolare in campagna “per la causa” (anarchica), ma la proprietà scelta si rivela molto sfortunata e tra spese folli di ristrutturazione e ospiti di vario genere che raggiungono la Baronata per restarvi a vivere a sbafo, si compie una parabola grottesca che porta alla rottura del rapporto tra Cafiero, nel quale si intravedono le avvisaglie di una malattia mentale che lo condurrà al manicomio, e Bakùnin, che dopo essersi imborghesito senza ammetterlo neanche a sé stesso, trova la forza di lasciare la Svizzera per raggiungere Andrea Costa a Bologna, dove si prepara la rivoluzione.

A Bologna gli anarchici sono in fermento. Andrea Costa, detto il Biondino, è il punto di riferimento per carisma e pensiero, ma via via si rivela più oratore che uomo d’azione; l’azione la riserva più che altro alle sue donne. Nell’ombra di Costa si muovono uno stuolo di personaggi dai profili assai diversi, tutti in qualche modo legati alla causa dell’Internazionale. Tra questi spiccano il poderoso imolese Abdon Negri e Alceste Faggioli, braccio destro di Costa.
Il tentativo di insurrezione fallisce, con le brigate anarchiche che si sfaldano man mano che l’azione, quella vera, si avvicina, e molti vengono catturati e imprigionati dai carabinieri. Bakùnin scampa l’arresto e si nasconde in casa dell’amico Silvio Fruggeri. Qui tenta di togliersi la vita, ma Fruggeri glielo impedisce: non è colpa di Michele se “la passione rivoluzionaria non è del popolo”.
Si chiude così la parabola di Michele Bakùnin, con una scena drammatica e intensa dove il fallimento di una vita spesa per la rivoluzione trova consolazione solo nella carità e nell’affetto, semplici e spontanei, di un amico.

Nell’epilogo torna la storia del diavolo al Pontelungo, citata dall’arciprete di Borgo Panigale nella predica domenicale: la salvezza è venuta dalla vigilanza e dalla modestia: vigilanza, cioè non credere alle apparenze, anche se sembra tutto tranquillo; modestia, ovvero non fare affidamento solo su di sé, ma riconoscere d’aver bisogno di “Colui senza l’aiuto del quale ogni opera è fondata sulla sabbia”.

Commento al Diavolo al Pontelungo

Sarà ovvio dirlo, ma questo romanzo non ha né la potenza né la portata del Mulino del Po. L’ostacolo maggiore sta forse nella suddivisione, netta, in due parti. Nella prima, più corposa, Bacchelli sembra gigioneggiare con i personaggi e le loro debolezze, il racconto è un po’ compiaciuto e l’incedere ne risente, nonostante un certo tono umoristico non venga mai meno. La “convivenza” di Bakùnin e Cafiero viene narrata col piglio della commedia all’italiana, ricorrendo allo scherzo e al ridicolo per raccontare fatti sostanzialmente drammatici.

Quando Bakùnin abbandona Locarno per raggiungere Andrea Costa a Bologna e dargli man forte nell’insurrezione che si prepara, il cambio di scenario e l’ingresso di numerosi personaggi secondari dà respiro all’opera e meglio indirizza la parabola drammatica dell’anarchico Bakùnin e del grande oratore (e donnaiolo) imolese Andrea Costa.

“E nulla sarà che non sia già stato detto”

Inevitabile paragonare la vicenda del romanzo con quanto stava accadendo in Italia nel momento in cui Bacchelli scriveva, cioè l’ascesa al potere di Benito Mussolini e l’instaurarsi del regime fascista.

Se il “diavolo” Bakùnin nel 1874 fu fermato al Pontelungo, cioè la rivoluzione anarchica si dissolse sul nascere, non si può dire lo stesso dell’altro diavolo di Predappio, che a Roma arrivò e vi si stabilì per un famigerato ventennio. Ma questa, direte voi, è un’altra storia; eppure Bacchelli conclude Il diavolo al Pontelungo ricordando che “E nulla sarà che non sia già stato detto”, perché l’uomo è sempre lo stesso e la storia inevitabilmente si ripeterà.

Un assaggio de Il diavolo al Pontelungo

Ho scelto 3 brevi brani, di diverso tenore, brio e morale, per darvi un’idea della complessità, della portata e della leggerezza di questo bel romanzo.

Abbasso l’esistente!

La curiosa filosofia dello spagnolo Scevola (pagina 245).

– Michele Bakùnin, – gli disse, – sento che te ne vai. Io ti considero un pensatore, una fiaccola dell’umanità. Perciò ti voglio confidare prima che parta, il mio sistema filosofico.

– Se ne son degno, – scherzò Bakùnin.

– Non ne sei indegno, – disse Scevola. – Michele, la dipendenza è dolore, la vita è dipendenza, dunque la vita è dolore. La libertà è soltanto nella morte. Ma la morte fa paura: così ha voluto la natura, che ci vuole vivi, non felici. E così han voluto i preti e i tiranni, che per dominarci in questa hanno inventata l’altra vita. Ho ragione fin qui?

– Hai ragione, ma c’è la libertà.

– Che libertà è quella di chi ha un corpo da servire? Michele, la natura è la nostra schiavitù. Bisogna liberarci della vita e delle paura e della natura. Uccidersi fa paura, che è servitù; vivere piace anche nel dolore; ed è servitù così il piacere che il dolore. Per liberarsi, non basta morire; non bisogna nascere, Michele. Abbasso l’esistente!

L’umorismo di Bacchelli

La presentazione di Ippolito Dalvit (pagina 262).

Poi c’era il retrobottega dei calzolai ortopedici fratelli Berardi, e la bottega dell’arrotino, o come a lui meglio suonava, del fabbricante di ferri chirurgici, Ippolito Dalvit, mirandolano, uomo saccente e infatuato, che s’ammalava se non metteva bocca in quel che non capiva: e non capiva quai niente.

Il castigo degli anarchici

In queste poche righe (pagina 375) Bacchelli condensa il giudizio storico di un prete di campagna su quei primi anni di Italia unita, un “profezia” sul futuro – richiamo neanche troppo velato al fascismo – e il suo punto di vista di buon cattolico.
Ndr: le persone alle quali si riferiscono (“li vedete?”) sono alcuni anarchici in fuga dopo il tentativo di rivoluzione.

Il prete chiamò il cappellano alla finestra.

– Vedete, – disse quando questi s’affacciò – Don Peppino, li vedete? All’osteria, da quando ho detto loro che ci sono i carabinieri, non ci vanno. Ecco! scantonano per i campi. E a me volevan dire che non sanno niente dei fatti di stanotte? Povera gente! Eh, ma questo governo italiano se n’accorgerà che cosa vuol dire rubare Roma al Papa e spargere l’empietà fra il popolo. Queste sono ancora rose e fiori. Il resto ha da venire. Guardateli là, come s’arrampicano!

– Dio Signore, – disse la serva sopravvenuta, – castigali!

– Marianna, son già castigati.

– E come?

– Perché rifiutano l’amor di Dio.

3 Commenti

  1. Ramsis Deif Bentivoglio

    Sembra vagamente interessante, anche se non lo leggerò mai.
    Belli i tre brani scelti…
    Che voto gli hai dato?

    Rispondi
    • Martino Savorani

      Però devi provare assolutamente a leggere “Il mulino del Po”. Sono tre volumi, ma si può leggere anche solo il primo, o solo il terzo (è il più cinematografico, difatti ne hanno tratto un film), stanno in piedi da soli.

      Rispondi
  2. Ramsis Deif Bentivoglio

    Visto, 7

    Rispondi

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.